ABBR e ACRONYM sono marcatori usati per definire abbreviazioni o acronimi. Attraverso l’attributo TITLE è possibile fornire l’espressione completa a cui si riferisce l’acronimo o l’abbreviazione. Secondo le specifiche di html 4.0, dove per la prima volta questi marcatori sono comparsi, il browser è incaricato di presentare, per lo più attraverso una piccola finestrella o un fumettino che compare quando il mouse passa sopra all’elemento, il testo contenuto nel TITLE. Dunque la sintassi corretta si presenta in questo modo:

<abbr title="confronta">cfr.</abbr>
<acronym title="Rapid Eye Movement">REM</acronym>

In teoria, una volta imparato questo, si è pronti per lanciarsi nel promettente mondo delle abbreviazioni e degli acronimi. I problemi però iniziano quasi subito: precisamente, non appena tentiamo di decidere cosa sia un acronimo e cosa non lo sia.

Secondo una definizione parafrasata dal dizionario, un acronimo è una sigla formata dalle iniziali delle parole che compongono un’espressione: WCAG è dunque un acronimo, quando si riferisce alle iniziali di Web Content Accessibility Guidelines. Anche CSS dovrebbe, secondo la definizione, essere un acronimo: sta per Cascading Style Sheet (fogli di stile a cascata). Cambiando settore, in ambito medico TAC è l’acronimo di Tomografia Assiale Computerizzata; sempre dall’ambito medico (o da quello musicale, a seconda delle vostre attitudini…) è tratto l’esempio di cui sopra (REM: Rapid Eye Movement).

Un’abbreviazione è invece qualunque riduzione di una parola o di una frase per mezzo di un’altra forma convenzionale: solitamente una sigla, una stringa di parole. Ad es., ecc., ad lib., cfr., sono tutte forme che in italiano sono abbreviazioni di espressioni più lunghe: ad esempio, eccetera, ad libitum, confronta.

L’acronimo non deve necessariamente essere una parola pronunciabile (CSS si legge “Ci-esse-esse”), né legale. Ovvero non deve rispettare le regole della fonetica di una certa lingua. In ogni lingua alcune sequenze di lettere sono parole “legali” e altre no. In italiano capiamo tutti che “cogomolo” è una parola legale: anche se non esiste potrebbe esistere, perché rispetta le regole fonetiche dell’italiano, mentre cgmfhloprv non lo è, perché non le rispetta.

In alcune lingue (per esempio nell’inglese) si stabilisce che un’abbreviazione – diversamente da un acronimo – può accettare prefissi e suffissi, e può dar vita a neologismi (HTMLl-er, per HTML-ista) a differenza dell’acronimo. In diverse lingue queste regole cambiano, e può diventare molto difficile stabilire se una parola è un acronimo o un’abbreviazione. Una scuola di pensiero sostiene che HTML o XML sono acronimi, mentre un’altra sostiene che siano abbreviazioni – forse solo perché è possibile usarle con una desinenza: HTMLer per HTMLista, appunto. Nella nostra lingua tale distinzione non pare appropriata.
Il W3C non fa dal canto suo molto per dirimere la questione. Considera HTML un’abbreviazione, ma senza fare chiarezza nelle definizioni.

Siccome c’è poca speranza di risolvere definitivamente la questione, e d’altra parte non ha molto senso coinvolgere gli sviluppatori in dispute degne degli accademici della Crusca, potrebbe non essere male poter disporre di un marcatore unico che indichi genericamente delle sigle: sia un acronimo che un’abbreviazione sono infatti sigle, espressioni sintetiche, per cui tale ipotetico marcatore potrebbe andar bene per tutti questi tipi di contenuti. Ma al momento è improbabile che questo si verifichi: quindi per la lingua italiana è bene attenersi al concetto che un acronimo è una parola formata dalle iniziali di altre parole, e le abbreviazioni tutto il resto. Ma senza scandalizzarsi se qualcuno usa ABBR per marcare HTML…