Parlare di formazione nel settore dell’accessibilità del Web vuol dire toccare – volenti o nolenti – diversi fili scoperti, che partono dall’attuale stato del Web, passano per una enormità di interessi economici più o meno evidenti, ed arrivano all’inadeguatezza delle soluzioni previste e dei piani formativi disponibili in questo periodo.
Partiamo dall’inizio, cioè dal fattore che rende assolutamente indispensabile parlare di formazione (non solo riguardante l’accessibilità): l’attuale stato del Web, sul quale si scontrano le buone intenzioni di pochi e la noncuranza delle più grandi realtà produttive. Non è un mistero che oggi il Web è tutto fuorché accessibile, e che quel che dovrebbe essere il punto di partenza – gli utenti – non rappresenta che una fonte di potenziale “disturbo” nel momento in cui essi (o dei loro rappresentanti) si permettono di “dire la loro” e di farsi portatori di determinate istanze. Eppure i destinatari di qualsiasi applicazione Web sono gli utenti, non i browser; nella stragrande maggioranza dei corsi dedicati al Web – invece – si parla dei browser, solo in minima parte degli utenti!
E la patetica pubblicazione del mega-portalone italia.it è la più triste dimostrazione di quando la formazione e la cultura legata all’accessibilità ed alla qualità del Web continui a latitare, in Italia come all’estero.
Ma se siamo tutti d’accordo che il Web non può non essere accessibile, allora dovremmo anche concordare sul considerare l’accessibilità del Web come una “materia di studio” basilare, che in quanto tale dovrebbe rientrare in ogni percorso formativo avente l’ambizione di forgiare i nuovi professionisti del Web, o riconvertire quelli vecchi. Ma ancora una volta, la realtà è assai diversa dalle considerazioni astratte: l’accessibilità del Web era e viene ancora considerata come una sorta di specializzazione, da affrontare in un secondo momento, se e quando necessario.
L’indagine che ho svolto sul Web pare confermarlo, anche a livello formativo.