“Quei cittadini infelici e minorati che la natura ha creato diversi e dipendenti dagli altri: handicappati, non vedenti, sordomuti… il cui recupero e’ oggi affidato in prevalenza ad uomini e donne di buona volonta’. “

da una mozione presentata nel secolo scorso (21 aprile 1994) al Senato da persone assai colte (www.uildm.org/gruppodonne/stereotipo/05.html)

Attualmente la persona con menomazioni sensoriali, motorie, intellettive o multiple non e’ piu’ lo svantaggiato, l’emarginato, l’eterno perdente nella corsa per la soppravivenza e per la vita; e’ sempre piu’ vero l’opposto. Le persone con necessita’ diverse dallo standard sono sempre di piu’ (anziani, sopravissuti da gravi incidenti stradali, persone con malattie invalidanti) ed una societa’ moderna e civile non si puo’ permettere il lusso di sottovalutare il costo sociale causato dalla mancata integrazione e inclusione di questi cittadini.

Inclusione che ancor prima che nei fatti deve essere nelle parole. Accade invece che quando una persona che deve parlare o scrivere di disabilita’ in un contesto scientifico, accademico o divulgativo, anche se culturalmente preparata ed in buona fede, si trova in grave difficolta’. Usa parole che fanno venire la pelle d’oca alle persone che vivono quotidianamente nel mondo della disabilita’.

Con l’aiuto di Salvatore Soresi, professore ordinario dell’Universita’ di Padova e direttore del Centro d’Ateneo di Servizi e Ricerca per la Disabilita’, per la Riabilitazione e per l’Integrazione, cerchero’ di scrivere delle linee guida per parlare in modo corretto ed efficace di disabilita’.

NB. Da anni mi occupo di questo argomento ma non ho la presunzione di insegnare nulla a nessuno. Nella normale comunicazione ogni persona e’ libera di farsi chiamare come vuole (handicappato, disabile, diversabile, menomato, … (*). In ambito scientifico, accademico e quando si scrive invece e’ opportuno evitare brutte figure o peggio (offendere, infastidire, umiliare). Per far questo e’ sufficiente conoscere ed applicare i documenti dell’OMS votati da rappresentati di tutte le nazioni ed illustrati nelle seguenti righe.

(*) Anni fa chiudevo le mie relazioni mostando una vignetta in cui una bambina che utilizza una sedia a rotelle, alla domanda: “Come dobbiamo chiamarti? Disabile o Handicappata?” risponde… beh… guardate la vignetta in fondo al mio intervento ad Handimatica del 1997


Definizioni di disabilita’

Prima suggerisco di guardare il lavoro di altri, i quali gia’ tempo fa hanno scritto articoli contenenti definizioni scientificamente corrette giacche’ anche loro attingono dai “sacri” documenti dell’OMS:

I documenti dell’OMS

A cavallo del secondo e del terzo millenio l’Organizzazione Mondiale della Sanita’ – World Healt Organization (OMS – WHO) dopo anni di riunioni e di documenti, decide ufficialmente di abolire la parola Handicap rivedendo il documento elaborato 20 anni prima. Nonostante il vano tentativo, risalente ai primi anni 80, di far capire che Disabilita’ e Handicap non sono sinonimi, si ritenne necessario eliminare radicalmente la parola Handicap dai documenti ufficiali e internazionali. Decisione difficilmente applicabile nell’immediato ma coraggiosa e lungimirante.

E’ importante chiarire che l’OMS non lo fa per ipocrisia ma perche’ una societa’ moderna non puo’ e non deve, almeno formalmente, accettare che un persona con una disabilita’ venga svantaggiata dalla societa’ nell’esercizio quotidiano dei diritti di cittadinanza.

Portatore di abilita’ diversa? No grazie!

Espressioni, quali “persona handicappata, portatore di handicap, handicappato“, sottintendono implicitamente che la persona debba essere sempre svantaggiata giacché non si riconosce alla persona la possibilità di liberarsi dallo svantaggio, dall’handicap.

Inoltre e’ bene notare che “si porta” una cosa che si puo’ lasciare in qualsiasi momento, come un ombrello, un impermeabile o un cane a passeggio. Un’alterazione di una struttura o funzione corporea invece non puo’ essere liberamente raccolta, portata e lasciata. Per questo non si porta una handicap e tantomeno una disabilita’. In un contesto medico-scientifico e’ tollerabile dire “portatore sano di una malattia genetica recessiva” ma e’ sbagliato estendere l’espressione alle persone affette da una malattia.

Anche l’espessione “diversamente abile” o “diversabile” oramai e’ da evitare in contesti giornalistici ed a maggior ragione in ambiti scientifici e burocratici.

Scrive Salvatore Soresi in una nota della seconda edizione del libro “psicologia delle disabilita’“:

“Come si sara’ notato l’espressione “diversamente abili” e’ stata qui utilizzata per caratterizzare le situazioni di “normalita’”. Per quanto mi concerne considero infatti scorretto e superficiale ricorrere ad essa riferendosi esclusivamente alle persone con menomazioni. Tutte le persone sono diversamente abili: basti ricordare che sono riconducibili all’interno della cosiddetta distribuzione gaussiana, o curva degli errori, e che qualsiasi gruppo, a prescindere dal tratto o dalla dimensione considerata, manifesta variabilita’ interindividuali piu’ o meno marcate e che ognuno di noi puo’ essere ritenuto, e spesso si considera, diversamente abile al variare del compito che si trova di volta in volta ad affrontare e alle aspettative dei suoi interlocutori! Siamo tutti diversamente abili… (continua in fondo) “

Qualche anno fa anteporre ad “abilita’” l’avverbio “diversamente” serviva per evidenziare l’alterazione dallo standard e non l’opposto. Oggi invece “diversamente onesto” significa “per nulla onesto”; “diversamente alto” e’ un modo ironico per dire basso.

Espressioni antidiscriminatorie che invece discriminano

Molti scrittori e giornalisti scrivono che alcune persone sono “affette da…” o “vittime di…” o “prigioniere di…”. La tendenza è però quella di abbandonare queste espressioni e di utilizzare un linguaggio emozionalmente neutrale. Sono da preferire termini come “su” una sedia a rotelle anziché “confinato” o “prigioniero di” una sedia a rotelle, “con” poliomielite anziché “che soffre di” poliomielite.

Quello che in sintesi si sta cercando di fare in questi anni è abbandonare tutte quelle espressioni che si ritenevano antidiscriminatorie e che, invece, non facevano altro che discriminare ancora di più perché attribuivano un giudizio di valore a dei fatti oggettivi. Forse chiamare le cose con il loro nome e descrivere oggettivamente lo stato in cui la persona si trova potrebbe essere un buon inizio e contribuirebbe a rendere la comunicazione più diretta e onesta soprattutto nei confronti dei primi destinatari: le persone con disabilità.

di Elena Armellini da www.uildm.org/gruppodonne/stereotipo/05.html

Lingue preposizionali (Inglese) e postposizionali (Italiano)

L’aggettivo “disabile”, in una lingua preposizionale (prepositional language), come l’Inglese, non va mai usato.

Quindi mai: “disabled students” ma “students with a disability” poiche’ la persona deve essere al primo posto

Se invece la lingua e’ postposizionale, come l’Italiano, e’ possibile usare l’aggettivo “disabili” vicino a sostantivi plurali come studenti, atleti, artisti, scienziati; e’ comunque preferibile l’espressione “con disabilita’” poiche’ cosi’ si da maggiore risalto all’attivita’ delle persone. Altrimenti si puo’ usare l’espressione “con necessita’ speciali

Consigli pratici

Il sostantivo plurale “i disabili” e’ tollerabile. Usarlo al singolare, riferendosi ad una persona invece e’ assolutamente da evitare essendo semanticamente scorretto (non esiste infatti il “signor disabile”, semmai al signor “Mario Rossi” puo’ risultare piu’ o meno difficile compiere autonomamente un attivita’); inoltre una persona puo’ non amare sentirsi etichettata! Ne consegue che, nel caso di singole persone, non e’ bene usare un aggettivo cosi’ generico che non da’ informazioni sul tipo di disabilita’; se puo’ aver senso dire o scrivere “gli studenti disabili (o meglio “con disabilita’”) quando si parla o si scrive di una singola persona e’ sempre opportuno preferire una frase che esprime chiaramente e correttamente la situazione; ad esempio:

  • studentessa con una ridotta funzionalita’ degli arti inferiori

E’ piu’ che accettabile anche la frase:

  • studentessa che utilizza una sedia a rotelle per i suoi spostamenti

ma * MAI * :

  • confinata o ridotta su una sedia a rotelle o (peggio) su una carrozzina
  • portatrice di una disabilita’‘”

Quando si parla delle persone che, almeno nel momento in cui si parla, non manifestano evidenti disabilita’ che parole e’ bene usare?

Prima di tutto e’ bene evitare le seguenti parole:

  • * normali *; perche’ implica che gli altri sono anormali
  • * normodotati *; perche’ implica che gli altri sono ipodotati
  • * abili *; perche’ implica che gli altri sono inabili

E’ meglio usare le seguenti espressioni:

  • * “normodotati” o cosiddetti “normodotati” * per far capire il concetto, evidenziando, allo stesso tempo, che la parola “normodotati” e’ semanticamente scorretta per i motivi che abbiamo visto.
  • * temporaneamente “normodotati” (da TAB – Temporaly Abled Bodied) * per ricordare che una disAbilita’ non e’ mai congenita ma e’ conseguente a una malformazione, una malattia o un infortunio.

Schema riassuntivo

I concetti di questo articolo sono stati discussi e presentati (cfr slide 2, 3 e 4) durante la sesta edizione del seminario su Informatica e disabilita’ che dall’Anno Accademio 1995/96 si tiene presso la facolta’ di Psicologia dell’Universita’ di Padova in collaborazione con il Centro d’Ateneo di Ricerca e Servizi per la Disabilita’ la Riabilitazione e l’Integrazione.

Ricapitolando:

Plurale: le persone con disabilita’

Deprecabile gli handicappati, gli orbi, gli incapaci, gli inetti, gli inabili
Tollerabile i disabili, i sordi, i ciechi, i muti, gli schiantati
Un po’ meglio le persone disabili, sorde, cieche, schiantate
Molto meglio le persone con disabilita’, con sordita’, con ciecita, con esiti da trauma cranico encefalico’

Singolare: la ragazza con disabilita’

Deprecabile la disabile, il cieco, il sordo, il muto
Deprecabile la ragazza confinata o ridotta su una sedia a rotelle o (peggio) su una carrozzina
Deprecabile la ragazza portatrice di una disabilita’
Deprecabile la ragazza diversamente abile o diversabile, diversamente alta e onesta
Tollerabile la ragazza disabile
Un po’ meglio la ragazza con disabilita’, che non vede, che non parla, che non cammina
Molto meglio la ragazza che utilizza una sedia a rotelle per i suoi spostamenti ed il tatto per leggere
Perfetto studentessa con una ridotta funzionalita’ degli arti inferiori
Ottimo ma lungo studentessa con una ridotta funzionalita’ delle strutture corporee collegate alla deambulazione

Plurale: i cosiddetti “normodotati”

Deprecabile gli abili, i normodotati
Tollerabile I “normodotati”
Un po’ meglio I cosiddetti “normodotati”
Molto meglio le persone temporaneamente “normodotate” (da TAB – Temporaly Abled Bodied)

Singolare: il signor “normale”

Non esiste

Scrive Salvatore Soresi: ” ….Siamo tutti diversamente abili. Esistono delle persone che presentano in alcuni ambiti di prestazione tassi di discrepanza particolarmente evidenti non in ragione delle proprie e specifiche preferenze ed esperienze, come nel caso di molti di noi, ma a causa della presenza di menomazioni.”

Roberto “Fox”


“Bisogna trovare le parole giuste:
le parole sono importanti!”

Nanni Moretti in “Palombella Rossa”