Donald Norman, noto psicologo cognitivista, nel libro “La caffettiera del masochista” analizza l’interazione tra l’uomo e gli oggetti di uso comune (come il telefono, piuttosto che gli interruttori della luce o le maniglie delle porte) e fornisce una serie di utili principi da tenere presente nella fase di design di un qualsiasi oggetto. Vedremo ora questi concetti:

Fornire un buon modello concettuale: attraverso l’esperienza ogni essere umano si crea dei modelli mentali che lo aiutano a comprendere e ad interagire con l’ambiente circostante. Chi progetta un oggetto deve fornire dei modelli mentali chiari e coerenti, in modo tale che sia facile prevedere gli effetti delle proprie azioni sull’oggetto in questione. Un esempio: su qualsiasi apparecchio elettronico che sia fornito di una serie di interruttori, la prima cosa che si è interessati a fare è azionarlo. E’ ormai una convenzione che il tasto di accensione sia quello messo più in evidenza (sui telecomandi dei televisori il pulsante di accensione è situato solitamente nella prima fila di testa ed è di colore rosso). Quindi si è portati a cercare e azionare il tasto più grande, con una forma particolare o che abbia un colore diverso dagli altri. Perciò il progettista deve tenere conto dei modelli mentali precostituiti e non creare ambiguità inutili e frustranti.

Rendere visibili le cose: osservando un oggetto l’utente deve essere in grado di conoscere lo stato dell’apparecchio e di vedere le azioni che ha la possibilità di compiere. I progettisti nella realizzazione di un oggetto spesso valorizzano principalmente il design, a discapito del principio di visibilità, così che parti fondamentali rimangono “nascoste” per non rovinare l’estetica. Sempre in tema di tasti d’azionamento, i pulsanti d’accensione dei PC portatili o delle macchine da scrivere elettriche, sono posti di frequente nella parte laterale o, ancor peggio, posteriore. E per quale ragione, se per utilizzarli ci si trova esattamente dalla parte opposta?

Il principio del mapping: il mapping è un termine che indica la relazione tra due cose, ad esempio tra l’azionamento di un tasto ed i suoi effetti. Un buon mapping sfrutta i modelli culturali appresi o le analogie spaziali. Pensiamo all’attivazione delle frecce di direzione di un’auto, per la destra occorre spostare la leva verso l’alto (facendo un movimento semicircolare verso destra) e viceversa per la sinistra si sposta la leva verso il basso. L’analogia spaziali qui è molto chiara.  In alcuni casi il mapping deriva invece da uno standard culturale. Ad esempio in Italia siamo abituati ad aprire il rubinetto rosso per far uscire acqua calda e viceversa il blu per l’acqua fredda. Ma in altri Paesi il meccanismo è esattamente il contrario.

Il principio del feedback: ammettiamo di avere la batteria del cellulare quasi scarica, ma tentiamo ugualmente di inviare un Sms. Dopo aver premuto “Invio” però il cellulare si spegne. L’Sms sarà stato inviato? Non possiamo saperlo non avendo ricevuto nessun feedback in merito (se l’invio ha avuto buon fine il cellulare visualizza sul display un messaggio simile a “Messaggio inviato”). Il feedback è quell’informazione di ritorno che ci dice quali risultati abbiamo ottenuto con la nostra azione.  Anche nell’interazione con il computer il feedback è fondamentale, ad esempio quando si selezione una cartella con il click del mouse, la cartella assume un colore differente, che ci fa capire che il sistema ha riconosciuto il nostro comando. Magari il sistema è un po’ lento e ci vorrà qualche istante prima che la cartella selezionata si apra, ma consapevoli della cosa si attende il buon fine della nostra azione. Se però non si fornissero queste banali informazioni di ritorno, c’è il rischio che l’utente si senta frustrato e pensi o a un proprio errore o ad un problema del sistema.

Norman parla anche della proprietà di affordance (detta anche “invito all’uso”) che un oggetto dovrebbe possedere. Si intende la proprietà reale o percepita di un prodotto di suggerire il proprio funzionamento. Quando gli inviti all’uso sono ben impiegati, il prodotto diventa autoesplicativo, di conseguenza all’utente dovrebbe bastare guardare l’oggetto per capire quali operazioni può effettuare. Un classico esempio è quello della maniglia di una porta, che automaticamente invita alla presa della stessa per aprire.

In merito alla progettazione di interfacce software, Norman sostiene che l’utilizzo di metafore non sia così efficace come sembrano essere convinti molti progettisti. Innanzitutto afferma che il concetto di metafora sia di per sé fuorviante. «Le metafore non sono altro che il tentativo di usare una cosa per rappresentarne un’altra, che rimane una cosa diversa.» A meno che le proprietà dell’oggetto in studio non siano strettamente correlate a quelle della metafora, progettare una qualsiasi cosa partendo da una metafora non rende “l’oggetto” più comprensibile. Ribadendo le linee guida viste precedentemente, Norman ritiene che il modo migliore per rendere chiaro il funzionamento di qualsiasi artefatto è quello di preparare un modello concettuale pulito, chiaro e comprensibile.